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Progetto Scrittrici in Biblioteca

Teatro Comunale Soverato

29 aprile 2008 - Incontro con le Scuole


Quello di oggi è un appuntamento con la scrittura di Cristina Ali Farah e il suo primo romanzo Madre piccola. Come già molti di voi sanno, Cristina è nata a Verona da padre somalo e madre italiana. E’ vissuta a Mogadiscio dal 1976 al 1991 quando è stata costretta a fuggire, con il suo primo figlio, a causa della guerra civile. Dal 1996 vive stabilmente a Roma dove si è laureata in Lettere e dove sono nati i suoi altri due figli. E’ tra le fondatrici della rivista di letteratura della migrazione El-Ghibli, collabora con numerosi periodici e testate ed è presidente dell’associazione Migranews. Ha pubblicato racconti e poesie in diverse antologie e nel 2006 ha vinto il Concorso letterario nazionale Lingua Madre.

Partiamo da una considerazione semplicissima: tutti noi viviamo la vita in una data lingua, di conseguenza le nostre esperienze sono vissute, assorbite e ricordate in quella lingua.

Cosa accade quando cambia la nostra collocazione nel mondo, si vive l’esperienza della dualità e si ricerca la propria identità e l’affermazione di un sé che viene da lontano?

Ogni straniero/a, è come un albero trapiantato che, appena arrivato, ha le proprie radici esposte.

Le radici non sono altro che gli affetti, i ricordi, le persone simili a lui/lei, la lingua, le abitudini, il clima, i suoni, gli odori familiari.

Chi è costretto ad emigrare ha paura di tradire ciò che ha lasciato se adotta per es. dei cambiamenti linguistici e abitudinari e allora si trincera in un ostinato rifiuto di ciò che è nuovo e altro rispetto al consueto e amato. Ci vuole del tempo per trasformare la sofferenza. Credo che la scrittura permetta l’avvio di un recupero di una diversa immagine del sé, un sé non più rinchiuso nelle proprie umiliazioni e ferite ma valorizzato attraverso lo scambio e il confronto. La letteratura appare in tali situazioni come la chiave metaforica che schiude altri mondi, è una porta verso l’altro.

Riprendo, a tale proposito, il sottotitolo del volume “Letteratura della diaspora e migranti” che considera la letteratura il luogo dell’incontro,il crocevia, lo spazio interstiziale nel quale è possibile concepire un affrancamento dal pregiudizio, dall’arroganza del giudizio. Probabilmente perché fa cadere l’illusione della nostra perfezione territorializzata. Probabilmente perché da una scrittura fluttuante di tante migrazioni, risaltano, nitide, le diaspore dell’anima le cui strade appaiono un intreccio di strade infinite che portano verso il territorio di un “ noi”, cioè di un “io”, ricco del “voi” e del “tu”.

Leggendo il testo di Cristina Ali Farah ho cercato e pian piano ho trovato il capo di un filo che si è dipanato in un percorso che, secondo me, costringe necessariamente chi legge a uno spiazzamento dal proprio eurocentrismo, apre nuovi orizzonti di immaginazione,di interpretazione e soprattutto di vita e impedisce che la verità resti ancora una volta colonizzata.

Lilly Rosso

 
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